Lo scorso 16 aprile è morto a Oviedo in Spagna per coronavirus il celebre scrittore di origine cilena, Luis Sepulveda, 71 anni compiuti lo scorso mese di ottobre; uno dei massimi scrittori contemporanei, autore di opere che hanno avuto enorme successo e sono state tradotte in tutto il mondo. Addolorati, con grande affetto e simpatia lo ricordiamo nostro ospite a San Polo in occasione della cerimonia di premiazione della XIII edizione 1995 del Premio Gambrinus “Giuseppe Mazzotti” quale vincitore nella Sezione “Esplorazione-viaggi” per il suo libro Patagonia Express edito da Feltrinelli.
La Giuria, che in quell’edizione era formata da Piero Angela, Cino Boccazzi, Dino Coltro, Paul Guichonnet, Danilo Mainardi, Sandro Meccoli, Lionello Puppi, Folco Quilici e Paolo Schmidt di Friedberg , premiò l’opera di Sepùlveda con la seguente motivazione: “Opera che raccoglie dodici appunti di viaggio, pietre miliari di un lungo itinerario per le solitudini della Patagonia, di un narratore della grande tradizione letteraria sudamericana, impegnato anche nelle battaglie ecologiche”.
Un uomo e uno scrittore che da allora e sempre più negli anni si sarebbe rivelato in totale sintonia con lo spirito e la sensibilità del Premio e di Mazzotti stesso. Come lui spirito battagliero, appassionato dell’ambiente, della vita, degli uomini.
In quell’occasione lo Chef del Ristorante Parco Gambrinus, Adriano Zanotto, lo insignì anche del Premio “Gambero d’Oro”.
Il Segretario del Premio, Antonio Beltrame, lo ricorda così:
«Non era ancora così famoso, ma lo stesso aveva un suo giro di aficionados. Quel volto latino del sud, quella parlata gioviale, le mani grandi, da contadino, la semplicità di uno del popolo. Ad accompagnarlo c’era il figlio di Inge Feltrinelli, allora suo editore, mentre a presentare il libro e dialogare con lui fu Lionello Puppi. Ci teneva tantissimo: parlarono di viaggi, di battaglie… Ma soprattutto di emarginazione e di ambiente: quello della sostenibilità era per lui davvero un rovello. E infatti divenne uno degli attivisti di Green Peace e di Slow Food. Ripeteva anche agli organizzatori di sentirsi un contadino, ma non per l’aratro o la zappa, quanto piuttosto per i paesaggi della sua infanzia. Apprezzava molto la campagna trevigiana e, in modo particolare le ville venete, come forma di bellezza e, insieme, economia agricola. Di lui ricordo la semplicità, la stretta di mano franca a giurati e pubblico, quel sorriso largo da uomo affamato di vita. Commovente al momento di congedarsi dal pubblico fu il ricordo del suo amico Chico Mendes, “uomo di poche parole e molti fatti”, lo definì rendendo onore alle sue coraggiose battaglie in difesa dell’Amazzonia e delle sue genti. Possiamo dire che ha diviso un piccolissimo tratto di strada con noi. E questo è bello, dà la misura di cosa significhi un premio letterario».